Paolo Perego
Paolo Perego Specialista di sicurezza applicativa e certificato OSCE e OSCP, amo spaccare e ricostruire il codice in maniera sicura. Sono cintura nera di taekwon-do, marito e papà. Ranger Caotico Neutrale, scrivo su @codiceinsicuro.

La sicurezza applicativa è veramente un facilitatore di flussi?

La sicurezza applicativa è veramente un facilitatore di flussi? Photo by on Unsplash
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La domanda non è banale. La sicurezza applicativa, per come è fatta spesso, serve? La risposta a questa domanda, volutamente provocatoria, non è banale. Ammetto di averci pensato su un sacco, durante lo sviluppo della mia personale APPSEC Pipeline sul lavoro. Dopo un paio d’anni di riflessione, complice la lettura di questo post, non posso che rispondere dicendo:

No, così come è fatta in molti casi, la sicurezza applicativa non solo non serve ma è dannosa.

Cori di disapprovazione, ma è così.

Il processo di sviluppo

Mamma mia, si parla di SSDLC almeno dagli anni 70 e contate sulla punta delle mani di una persona, le società in Italia dove esiste:

  • linee guida di sviluppo sicuro
  • processo di revisione del codice prima del golive.

Ed in questi pochi casi, la revisione del codice serve davvero? Sì, certo che serve, ma è un processo che è ancorato ad un modo di concepire il prodotto che è fermo almeno da una decina d’anni.

Oggi, in molti usano metodologie agili e rilasciano più volte durante una singola settimana1. Come posso dire che ogni rilascio deve essere preceduto da una code review, da un penetration test applicativo e che mi devono dare il codice nel suo stato finale, almeno una settimana prima per i test. E quando scrivo una settimana, intendo dire che sono almeno due, nel caso di applicazioni particolarmente complesse.

Un approccio monolitico come questo, poi costa. Costa un sacco. Le società sono molto spaventate dall’aprire il borsellino per i costi legati alla sicurezza, perché di rado riescono a vedere un beneficio negli stessi. Soprattutto, se il costo di un test di security, mi costa come lo sviluppo di un prodotto, capite da soli che qualsiasi manager assennato, declinerebbe l’attività.

Fluidità

La sicurezza applicativa serve solo se è fluida. Serve se è in grado di adattarsi ad ogni singolo progetto in maniera da minimizzare gli impatti.

Proviamo a fare un’ipotetica lista della spesa delle cose che io, se fossi un product manager vorrei dalla mia sicurezza applicativa:

  • costi: minimi. Se il costo per il test è paragonabile a quello di tutto lo sviluppo, il mio prodotto non è più competitivo. Il costo dei test deve essere contenuto e questo lo ottengo riutilizzando i componenti tra più progetti2.
  • tempi: ridotti. Il mercato cambia troppo velocemente e reagire in tempi brevi è fondamentale affinché un prodotto abbia successo. Aggiungete che ci sono prodotti, come le applicazioni mobile, che hanno dei tempi tecnici di pubblicazione che non sono dipendenti da noi.
  • tasso di errore: minimo. Spendere un sacco di soldi, per un’attività che porta via molto tempo può essere dura da digerire. Se a questo si aggiunge l’errore umano effettuato in fase di test, appare chiaro come in molti decidano di stare alla larga dai temi di sicurezza applicativa3.
  • vendibilità: tanta. Devo andare dal management a giustificare un’extra budget e 5 giorni di ritardo4 sul rilascio. Non posso mettere sul piatto aria fritta, ho bisogno di rischi reali ai quali il mio prodotto può andare incontro.

Adesso, facciamo un esercizio. Cerchiamo la soluzione per il nostro product manager.

Per i costi minimi, abbiamo già visto come razionalizzare il software già è un passo. Se il mio portafolio di prodotti, condivide il modulo di autenticazione, di gestione dei pagmaneti e di logging, non sarà necessario testarli ogni singola volta vengano usati in un nuovo prodotto. Se non cambiano, basta ripetere i test periodicamente (una volta l’anno ad esempio), per assicurarsi che non si sia tralasciato niente nei test precedenti. C’è poi la soluzione A.

Per i tempi ridotti, bhé affidarsi ad un team esperto è il primo passo. Quando mi danno un’applicazione o un codice da rivedere, non parto completamente da 0, so più o meno dove andare a guardare per vedere le magagne grosse (sicurezza nella comunicazione, gestione della sessione, gestione degli account, form di ricerca e inserimento, …). C’è poi la soluzione A.

Tasso di errore minimo. In questo caso non basta neanche la soluzione A. Gli errori ci saranno sempre, è l’unica invariante a tutto il bizniz5. Un po’ con la soluzione A, ma soprattutto con l’esperienza di chi fa i test, riusciamo ad avere un tasso minimo, non nullo, ma minimo. Accontentiamoci.

La vendibilità. L’unico punto dove la soluzione A non ci aiuta è il punto più importante. Chi è alle prime armi, parte a razzo con i tool e nel giro di poco tira fuori un’accozzaglia di findings non contestualizzati che vengono smontati in poco tempo. La cosa da cui bisogna partire è un’attività puramente manuale, che porta via un giorno o due, a seconda del progetto, e che risponde alla domanda: si, ma perché devo investire soldi in test di security?

Esatto, devo partire con un threat model per capire a quali problemi può andare incontro la mia applicazione una volta messa sul mercato. Che rischi corre? Cosa può succedere se una vulnerabilità viene sfruttata? Cosa fanno i miei competitor? Come sono posizionati? Hanno subito attacchi di ricente? In quali modi un attaccante trarrebbe vantaggio dai dati gestiti dalla mia applicazione?

Andare dal business dicendo chiaramente quali sono i rischi, soprattutto in termini di immagine aziendale, così importante nell’epoca del social e del politicamente corretto, ha un peso rilevante nel dover giustificare un’attività extra.

Poi c’è la soluziona A. Ne avevamo già parlato a Dicembre. La sicurezza applicativa diventa un facilitatore di flussi se è calata in un processo automatizzato. Attenzione alle parole: processo e automatizzato.

Il processo ci deve essere e deve essere il punto di partenza. Dare linee guida a sviluppatori e sysadmin, creare un’applicazione che permetta ai vostri clienti interni di richiedere i test di security, fornire dei deliverable e curare il feedback per verificare sempre a che punto sono le issue che abbiamo segnalato.

Questo processo deve essere il più possibile automatizzato. Il tool deve essere scelto in maniera tale da aiutarmi a prendere delle decisioni e dare priorità al mio lavoro. Non deve sostituirsi all’istinto di chi lo usa ed alla sua esperienza. Soprattutto, i tool devono potersi parlare tra di loro, per creare la pipeline di cui abbiamo già parlato.

In questo modo, creando e curando la nostra pipeline, adattandola volta per volta ai cambiamenti nella realtà che viviamo ogni giorno, saremo in grado di dare una risposta al nostro product manager, diventando per lui un facilitatore di flussi.

Enjoy it!

  1. conosco realtà dove i rilasci sono quotidiani, ma voglio ignorarli per semplicità. Anche se capite benissimo, che mettono ancora più in luce la farraginosità dell’approccio moderno al test di security. 

  2. il contenimento dei costi non è una cosa quindi che riguarda solamente la security. Contenere i costi significa creare una buona architettura per il proprio software. Costruire una buona architettura significa non reiventare ogni volta la ruota, costruire dei moduli che implementano servizi base e riutilizzarli invece di duplicare sempre tutto. 

  3. questo è frequente anche nelle grandi realtà, con processi consolidati. Per velocizzare, si manda sul mercato software non testato, scelte spesso avallate dal business stesso in nome del time to market e del tanto chi vuoi che ci attacchi

  4. chi ha lavorato in grosse realtà, sa che i ritardi normali si misurano in mesi. 

  5. se qualcuno vi vende la soluzione 100% false positive free o è un truffatore o la sua soluzione non trova nulla, ecco perché non ha errori. 

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